Ancilino è quel tanto di ognuno di noi che, seppur raramente, si arrende e cede in quella lotta che ci impegna nello sforzo di praticare una moltitudine di convenzioni. Ancilino è quel momento di vera esistenza in cui ci si scopre limpidi come l’acqua di surgiva, o frischi comu l’ aria ri matina. Un momento sincero, di animo prima ancora che di parola. Ancilino è l’arte che è l’omo. Ancilino è pitrune sutta un sule ri ‘nmerno. Ancilino sì tu chi cerche, e Ancilino sì tu chi dice :”ma chi ci cerche?”. Ancilino è un chianto, ma ‘un è un lamento. Ancilino t’aspetta ca arrisorbe, ca ti cummince, e ca a finisce , ca ti struvigghie e t’arricampe.
“Attenta a mia, viri pi parrare chiu picca, e movite!”
Palermo 21.03.1995.
Questa è la lettera che Antonio Platania ricevette nelle mani da uno sconosciuto, la notte del venerdi santo del 1776 in una Palermo evanescente e quanto mai resa spettrale dalla moltitudine di riti di derivazione andalusa che impegnavano migliaia di fedeli partecipi di un lutto sofisticato e altrettanto artificioso : a morte ru Signore.
Della cosa ci dà testimonianza un amico dello stesso Platania che nelle sue memorie scrive: “una cosa c’ ancor sembrami dal mistero avvolta sì è della data che tal lettera indicavasi iscritta, che di error poteva solo trattarsi, ma quanto strano sembravami il linguaggio e lo stilo.”
La cosa mi incuriosi’. Decisi così di intraprendere un viaggio. Cominciando da Casa Professa dei padri Gesuiti di Palermo. Ora sono tornato e quando il tempo me lo permetterà, delle mie scoperte farò partecipe l ‘affettuoso lettore.
M.P. junior.