Pubblico di seguito una recenzione del libro “La pescatrice di Platani” di Stefano Malatesta a cura dell’ottimo giornalista Marco Cicala de “La Repubblica” il libro sembra molto interessante, ma offre certamente diversi spunti di riflessione.
Ci sono Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Enzo Sellerio. Ma pure meno noti personaggi dall’altro sentire: il massimo esperto isolano di Joyce e il maggiore studioso europeo di chiostri. Senza dimenticare “il più grande disegnatore di gioielli del secolo”, che si chiamava Fulco Santo Stefano della Cerda, duca di Verdura, e fece fortuna prima a Parigi, poi negli Stati Uniti.
La pescatrice di Platani, l’ultimo libro di Stefano Malatesta (Neri Pozza, euro 16) potrebbe essere un’anatomia dell’irrequietezza intellettuale siciliana, se in 180 pagine di stupefacenti vagabondaggi (“passeggiare è un’attività umana superiore”) non si abbandonasse liturgicamente a illuminazioni profane: estasi botaniche negli onusti Orti pubblici di Palermo; estasi palatali di alicette e melanzane; estasi olfattive: l’odore spartito del “riposto” – cioè tutto quanto era stipato nelle dispense dei grandi palazzi nobiliari – o l’aroma acre delle friggitorie.
La passione siciliana “per il cibo in strada è stata ereditata dal mondo arabo”. Il problema è che “la maggioranza dei siciliani, orgogliosissima di vantare ascendenze normanne, si è sempre come vergognata di una possibile origine araba”.
A dire il vero i siciliani si vergognavano anche di “servire i clienti dei bar la spremuta” delle loro arance, e mai inserviano nei menù dei ristoranti i “cannoli e le cassate, vette supreme della gastronomia” Perchè? Vecchie idiosincrasie. Però le cose cambiano.
Non sempre in peggio. Certo, mercati come la Vucciria si fanno meno emozionanti. E le coste dove andavano a nidificare le testuggini oggi sono incellophanate dalle coltivazioni intensive dei pomodori detti Pachino. Ma, dagli anni 90, la Sicilia non solo ha liquidato “residui arcaici” tipo la fuitina o l’atavica ossessione maschia “per la grandezza della minchia”: ha anche imparato a fare il vino. Con risultati sbalorditivi. Una rivoluzione. Un’epica. Che nel libro si merita il capitolo più esteso.
Mi dispiace che il blog da un pò di tempo sia un pò sottotono. Spero che al più presto possa rileggere tutti gli articoli degli amici blogger.
hai perfettamente ragione, speriamo…