Un tempo, negli anni immediatamente dopo il papocchio della guerra, quando il paese viveva tranquillamente i suoi giorni, e il fiume scorreva placido tra le rigogliose campagne coperte da frutteti lussureggianti, da copiose distese di agrumi e da giganteschi uliveti di secolare memoria, l’allora Benito Capizzi di anni 29 e di professione campestre, svolgeva il proprio giro di guardia tra le campagne di contrada Camastra, Marchesa e Scalambra. Erano circa le sette di una calda giornata d’agosto, il sole era appena tramontato e cominciava già a fare buio; quella era un’ora della giornata un po’ particolare nella quale uomini di malaffare o padri di famiglia in cerca di qualcosa da mettere nella pancia giravano furtivamente nelle campagne rubacchiando un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Fu in questa cornice che il nostro Benito, sente provenire dei rumori da dietro un canneto poco distante da lui e nello stesso istante arma lo schioppo e si dirige silenziosamente verso il canneto. Spostate delicatamente delle foglie che gli impedivano di vedere oltre le canne si trovò davanti un tale di sua conoscenza che stava trafficando attorno ad albero di ciliegio.
Il tale certo Gaetano Cerniglia di anni 31 professione capomastro, aveva aveuto, temporibus illis, delle discussioni molto accese con Benito per colpa di una bella ragazza che poi diventò la moglie del Cerniglia, cosa peraltro mai accettata da Benito che si era ripromesso di fargliela pagare. Ma la cosa finì lì perché allo scoppiò della guerra Gaetano che in quel periodo era in ferma di leva partì per il fronte e fu dichiarato disperso nel 1943.
Venne la guerra anche a Misilmeri, vennero i soldati e quelle contrade, a causa del vicino ponte sul fiume di rilevanza strategica per la zona, furono trasformate in altrettante trincee, campi minati e postazioni di avvistamento. Nonostante i divieti, in quei luoghi la gente continuava a coltivare quel poco di terreno che ancora era rimasto coltivabile. La fame e la miseria erano le uniche cose che abbondavano in quel periodo e si era disposti anche a rischiare la vita per mettere qualcosa sul piatto. Era una situazione ideale per il prefigurarsi di una disgrazia. Infatti, poco tempo dopo, un bambinetto di circa tre anni sfuggito al controllo della madre intenta a lavorare nei campi finì nella zona minata. Quello che successe lo potete immaginare.
Ma torniamo ai nostri due personaggi che si ritrovano dopo tanti anni. Gaetano si accorge della presenza di Benito, i due si guardano di traverso, e prima che Gaetano potesse dire alla guardia perché si trovasse lì, ne nasce un’accesa discussione che presto, anche a causa degli antichi rancori, degenera in un litigio; Benito spara uccidendo sul colpo. Guardando attentamente nella penombra Benito si accorge che quella che lui credeva essere un’arma in realtà era una croce di legno nera, poco lontano nota un mazzolino di fiori. Gaetano, infatti, tornato qualche giorno prima dall’Africa, dopo una prigionia lunga sette anni, stava cercando di dare una degna sepoltura, per quanto potesse essere possibile in mezzo ad un frutteto, al suo figlioletto. Sì, proprio lui; il bambinetto morto nel campo minato qualche anno prima che Gaetano non aveva potuto conoscere per colpa della guerra. Tornando a Benito, dopo avere sparato, inscena un furto e dichiara all’autorità di aver colto in fragranza di reato un uomo e di essere stato costretto a sparare.
Passa del tempo e il nostro Benito si ritrova nello stesso luogo dove aveva ammazzato Gaetano, e cosa strana sente di nuovo gli stessi identici rumori di quel giorno. Istantaneamente il terrore s’impossessa di lui, compie gli stessi gesti: arma lo schioppo, si avvia verso il canneto e spostate le foglie vede due ombre una più grande l’altra più piccola, che pare lo guardino e camminino verso di lui. Benito è sgomento scappa, dopo un pezzo si volta indietro rivedendo le ombre e le vedrà per tutta la vita.
Bellissimo e curioso articolo, frutto senz’altro di qualche leggenda paesana…riflettevo proprio sul fatto che il nostro territorio è costellato di storie del genere legati a luoghi precisi e, soprattutto, a situzioni sventurate.
Sarebbe un idea raccoglierli qui.
Stupendo post…, trovo che l’idea di Giuseppe sia da tenere in considerazione.
picciotte sugnu io, u cucinu nino, per esempio si putissi parrare ri quannu c’erano i lupunara….pare ca navota uno ri ssi lupunara ammazzao a so mugghere o paise…
Buongiorno a tutti. Sono lieta di aver trovato questo blog poiché avrei bisogno di una mano: sto scrivendo un romanzo sulle migrazioni italiane, nello specifico si tratta di una famiglia misilmerese che approda a New York nei lontani Anni Venti. Se qualcuno di voi fosse così gentile da volermi aiutare nella traduzione di alcune frasi nel vostro dialetto e nel dirmi com’era la Misilmeri degli inizi del Novecento, ve ne sarei gratissima! Grazie per l’attenzione, Esther.
Siamo a tua completa disposizione. Abbiamo un bel pò di materiale che può aiutarti.
Buongiorno! Mi scuso per aver risposto con così tanto ritardo e chiedo venia 🙂 avrei delle domande inerenti al contesto storico di Misilmeri (vie, flora, fauna, fabbricati, rapporti sociali), inerenti agli Anni Venti. Se possibile, però, preferirei poter dialogare tramite posta elettronica. Si può fare?
Grazie mille 🙂