Spesso il restauro di un’ opera può destare molti dubbi, soprattutto quando si tratta di edifici o vecchie costruzioni che nel corso dei secoli hanno subito forti cambiamenti dovuti sia all’incuria e al degrado che al normale processo di deterioramento naturale dei materiali. Per restauro si intende “un’attività legata alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione di manufatti storici”. Probabilmente l’abitudine ad osservare qualcosa che riteniamo “congelata” nel tempo, ma di cui non percepiamo le continue variazioni a causa della nostra breve esistenza, ci fa affezionare alla forma di quel monumento. Ma quello che noi percepiamo oggi è lo stesso di quello che hanno percepito i nostri nonni o che percepiranno i nostri nipoti? Le foto proposte nel post “Metamorfosi” vogliono porre l’attenzione proprio su questo continuo divenire. In poco meno di 100 anni l’aspetto del nostro monumento simbolo era cambiato rapidamente e si rischiava che i nostri nipoti non avrebbero potuto godere di questo affascinante testimonianza di culture passate. Bisognava agire! Ieri ho visitato il castello e ho visto da vicino ciò che è impossibile osservare da centinaia di metri di distanza. Ho quasi sentito le voci della gente che popolava il castello, le grida di dolore dei carcerati, il profumo delle pietanze e gli zoccoli dei cavalli che stanchi del lungo viaggio si preparavano al meritato ristoro.
La litografia proposta, dal titolo “Frammento di paese. Avanzo d’antico castello di Misilmeri in Sicilia” è un’incisione poco conosciuta di Giuseppe Antonio Tresca risalente al 1834 che raffigura il castello dell’Emiro e il centro abitato nella prima metà dell’800. L’immagine è inserita nel testo di Salvo Di Matteo del 1992 intitolato “Iconografia storica della provincia di Palermo (mappe e vedute dal 500 all’800)” edito dalla Provincia Regionale di Palermo. La veduta in proiezione prospettica ci consente di poter apprezzare alcuni particolari che sono visibili a restauro concluso.
Qui da noi siamo abituati al chiacchericcio, alla vacuità, al pressappochismo. Forse per questo in tutto ci si schiera per partito preso e non si va oltre l’apparenza. Innegabilmente il “nostro fantastico rudere” doveva subire un restauro; le pietre che profumano di storia e antichità, non potevano essere sepolte e digerite dalla società liquida che ci circonda, noi ed esso.
Le burocrazie regionali e le professioniste del settore hanno fatto il loro dovere, tanto di cappello ed onore al loro lavoro, suppongo ben retribuito. Ma qui da noi, per mio grande nocumento, non siamo abituati a pensare a come si definisce un’identità, come la nostra e le prossime generazioni faranno tesoro della storia, che in quanto maestra di vita, potrà insegnargli a difendersi dal “sonno che genera mostri” che quotidianamente ci travolge.
Questo a mio modestissimo parere ci aiuta a capire la modalità con cui si effettua un restauro, conoscere la storia e salvaguardarla? Oppure ricostruirla anche egregiamente con tutte le cautele possibili, per averla sempre a diasposizione secondo il proprio comodo?
Ad ognuno la propria risposta, vale la pena rifletterci per capire quale futuro si vuole.
Io già affermai che un rudere è un rudere e che ogni sua manomissione, tentata e mutilata ricostruzione lo snatura del suo vero spirito. Ma io sono un romantico e come tale incomprensibile, irrazionale. LA storia va salvaguardata questo è sicuro, e i ruderi sono testimonianza della storia più che i bei palazzi restaurati. Salvaguardare la storia vuol dire di conseguenza salvaguardare il rudere; il problema è : come?
Dandogli un ruolo di documento, trattandolo come strumento al fine di ricostruire uno scenario? Magari per il divertimento intellettuale di chi oggi crede “storia” la parodia dei nostri centri storici nelle ricostruzioni che se ne fanno negli “outlet”? Oppure riprendendo qua e là, a cagata di mosca, nello sterile tentativo di essere invisibili? Io la risposta non la so e meno male che almeno in questo campo non l’ha nessuno. Non c’è una scelta categorica e tutto va visto e rivisto caso per caso. Certo l’arbitrio del progettista fa da protagonista nell’intero processo. Ma vi sono anche le commissioni, il parere degli esperti. Il popolo solo non dice una minchia. E malgrado il mio socialismo, anzi dato il mio socialismo, forse è meglio così.
Un balcone di tredici metri e un tetto stile Valtellina avrebbe fatto veramente senso! Ahahahahah.